“UN’ESPERIENZA ULTRA”
di Marcello Mastrodicasa
di Marcello Mastrodicasa
Vi sono esperienze sportive straordinarie che diventano anche esperienze di vita. Lo sport, in questo ambito, riesce ad andare ben oltre il gesto atletico, oltre il semplice spirito competitivo. Quando si entra in tale dimensione, dove la sfera emotiva è coinvolta tanto quanto la corporeità, allora ci troviamo di fronte alla pura essenza delle cose e tutto ci appare per quello che realmente è.
A seguire, volevo condividere con voi la mia esperienza di vita e di sport del Tor des Géants 2015 nella convinzione che ci si possa ancora stupire ed emozionare nell’apprendere tali esperienze da me che le ho vissute in prima persona.
Courmayeur, 13 settembre 2015, sesta edizione del Tor des Géants.
Ricordo i brividi sulla schiena. Ricordo la confusione mentale dovuta a tanti fattori (sonno, stanchezza, stress...) ma Courmayeur non è solo un luogo che segna la fine di un viaggio incredibile ma è anche l’inizio di qualcosa che non riesci a fare tuo nell’immediatezza. Ti ci vuole tempo per razionalizzare le emozioni, la paura, la fatica ma capisci subito che il Tor resterà tuo per sempre! Perché il Tor des Géants è un amplificatore di tutte quelle emozioni che normalmente una gara di trail può offrire. Ѐ un endurance- trail all’ennesima potenza in un ambiente dall’incomparabile bellezza ma in molti momenti anche estremamente ostile. Non si può programmare nulla e nemmeno essere certi di nulla.
150 ore di tempo per percorrere , attraversando le due alte vie che abbracciano d’Aosta, pari più o meno a otto maratone corse una dietro l’altra, salendo e scendendo 25 colli oltre i , con punte anche di 3000- (Col Loson) e con un dislivello di . In pratica, tre scalate dell’ Everest. Tutto ciò con uno zaino sulle spalle di di materiale obbligatorio.
Con questi dati l’allenamento non può che essere importante (sono soddisfatto del mio allenatore: il Mastro): 7 mesi di duro allenamento con 8 maratone, varie gare di trail e sky race e nell’ultimo mese oltre a in 7 giorni sopra i , la del Gran Sasso in altura ed allenamenti specifici vari.
Ma è la condizione psicologica ad essere determinante per arrivare in fondo. La forza mentale conta più di ogni altra cosa ed essere in grado di affrontare i propri fantasmi e superare i propri limiti, è la vera sfida.
E così mi ritrovo sulla linea di partenza. A Courmayeur è grande festa nonostante la pioggia. Una Courmayeur ,stregata dall’evento, accoglie quasi 750 atleti provenienti da ogni parte del mondo ed un foltissimo pubblico. Sotto la pioggia, i minuti in attesa della partenza sembrano interminabili. Lo scambio di abbracci e le strette di mano tra atleti è il miglior modo per stemperare la tensione. Il mio pensiero va alle persone che mi seguono da casa, a i miei famigliari, a i miei amici, a i miei concittadini, a tutte le persone che mi sono vicine ed in particolare alle mie figlie che riescono a vedermi sul web mentre sento mia moglie al telefono qualche minuto prima della partenza e che sentirò spesso durante tutta la gara. In tutto questo turbinio di emozioni, mi piace ricordare la voce dello speaker presentare il Tor con queste parole: “Ricordate: i primi ad arrivare a Courmayeur saranno dei super atleti, ma gli atleti che arriveranno qualche giorno dopo, saranno dei super eroi!” che, a posteriori, condivido pienamente! Sì, perché correre in alta quota in sole 75 ore, è una cosa da marziani ma impiegarci 130/150 ore, quando ci si avvicina molto al limite delle possibilità umane, quando la tua mente perde la lucidità e il tuo fisico non regge più né il peso del sonno né il dolore dei piedi e delle gambe, è davvero un’impresa eroica basata sulla tenacia.
Con puntualità prende finalmente il via questa incredibile avventura. La musica epica ( una delle musiche del film “Il Gladiatore”) a tutto volume mette i brividi. Le lacrime invece sono stimolate dal muro umano assiepato ai lati delle strade per centinaia e centinaia di metri e dal frastuono dei numerosi campanacci di montagna agitati da adulti e bambini.
Da questo momento in poi entro in uno stato che fatico a descrivere: una specie di trance agonistico dove il mio
pensiero è solo uno: “devo arrivare in fondo”.
Il viaggio è costellato da una miriade di emozioni che posso solo racchiudere in tanti ricordi: la folla di gente a (19°km), ancora campanacci e urla di incitazioni, gli applausi. I fulmini e la grandine al Col Fenêtre () che mi obbligano a tornare indietro al rifugio Chalet de l’Epée () dove dei volontari (sono tutto e tutti disponibilissimi !) che mi avevano salutato un’ora e mezza prima, mi accolgono, stupiti di vedermi di nuovo, con una coperta per scaldarmi dal gelo (-7°). La gara viene sospesa per la prima volta per 3 ore interminabili. La scia luminosa delle frontali scendendo verso Rhemes Notre Dame () che procedeva a zig-zag lungo il sentiero. I tre piattoni di pasta al forno con la fontina (una bomba!) e un volontario che mi consiglia di non abusarne per la sua consistenza ma io, in quel momento, mangerei anche lui! E lì che riesco a riposare trenta minuti... che mi sembrano un eternità. L’amarezza di incontrare il mio amico Giorgio che mi annuncia il suo ritiro. La salita senza fine e assurda (40% di pendenza) verso il Col Loson (). Le due soste inutili per cercare di dormire senza riuscirci (per la troppa adrenalina!) al rifugio Sella (2585m) e al rifugio Sogno di Berdzé (2534m). L’incontro ravvicinato con un orso dopo Fenêtre di Champorcher insieme a due atleti spagnoli intenti a fare foto al paesaggio ma spaventati alla vista dell’animale. L’ennesima prova di riposare, invano, al rifugio Dondena. L’incontro con il diavolo, personaggio folkloristico, che mi spiega la storia del ponte Saint-Martin che sto per attraversare. Eric, un atleta francese di Avignon al quale non posso fare a meno di cantare “Sur le pont d’Avignon” e che mi fa compagnia dal rifugio Sassa (1305) al rifugio Coda (2224m) per tutta la salita, di notte e con una nebbia così fitta che la luce delle frontali rende quasi nulla la visibilità tanto che riesco a mala pena ad intravedere un atleta giapponese e ad afferrarlo per lo zaino per evitare che finisca in un dirupo. ( Mi riconosce sul bus del ritorno, mi abbraccia e mi ringrazia fra le lacrime.) La discesa verso il rifugio Lago Vargno dove sento gli spari dei fuochi d’artificio che, ahimè, non sono altro che una frana in corso (spaventoso!). E nemmeno là riesco a prendere sonno. La luce del giorno che non arriva mai ma finalmente un piccolo bivacco a Col della Vecchia (2184m) dove non rinuncio a delle crêpes caldissime che i volontari stanno preparando. E lì che un atleta cinese attendeva di essere trasportato in ospedale ma i soccorsi non lo potevano raggiungere per la fitta nebbia. Il sonno che oramai mi devasta. La polenta con le salsicce a Niel (1573m). La salita e la discesa massacrante del Col Lasoney (2364m) e l’arrivo alla base vita di Gressoney dove ho due ore di tempo per lavarmi, mangiare e finalmente dormire (ci riesco!). Mi aspetta il Col Pinter (2776m) ma nessuno può fermarmi: sono mentalmente e fisicamente a posto. E invece la gara viene di nuovo sospesa. Ritorno a Gressoney dove mi aspetta una lunga notte. Intorno a me tanti atleti in attesa di essere curati. Alle otto del mattino arriva il comunicato ufficiale: per motivi di sicurezza e per le condizioni atmosferiche proibitive che non accennano a migliorare, il Tor è interrotto al 223°km.
E poi, c’è il ritorno alla realtà. In effetti non è semplice ritornare alla vita quotidiana dopo tanti giorni di Tor des Géants. Sei al lavoro, parli con la gente, bevi un caffè ma inevitabilmente la tua mente vola via e torna a tutti quei ricordi e quando ti domandano :”Avresti voglia di fare uscire ogni dettaglio che è incastrato in qualche modo nella tua mente?” , rispondi:” Non si può spiegare!”. Vorresti parlare della tormenta interiore che ti sta devastando ma non ci riesci perché non si può raccontare il silenzio a di quota, l’emozionante solitudine sulle montagne di notte e il sapore del minestrone alle 4 del mattino. Mentre sei in gara perdi la concezione del tempo e dello spazio e ci vogliono giorni per rimettere insieme i pezzi del puzzle e comprendi a pieno cosa ti sia successo anche se è impossibile ricostruire un’immagine completa. Resta soltanto un gran senso di appagamento e di soddisfazione. Il Tor cambia le percezioni, annulla ogni regola e non esiste più il tempo. Il Tor ti rapisce, ti porta via il cuore e la mente e qualche unghia ai piedi ma lascia la nostalgia che tutto quello che il TdG prende e dà.
Ero preparato a tutte le difficoltà che questa gara estrema presenta ma non ero pronto a tutto il sostegno, l’affetto e il calore che tutti voi mi avete dimostrato facendomi commuovere. Un pezzo del Tor 2015 è anche vostro. Se dovessi ringraziare personalmente ognuno di voi, mi occorrerebbero pagine e pagine ancora. SIETE STRAORDINARI !
A seguire, volevo condividere con voi la mia esperienza di vita e di sport del Tor des Géants 2015 nella convinzione che ci si possa ancora stupire ed emozionare nell’apprendere tali esperienze da me che le ho vissute in prima persona.
Courmayeur, 13 settembre 2015, sesta edizione del Tor des Géants.
Ricordo i brividi sulla schiena. Ricordo la confusione mentale dovuta a tanti fattori (sonno, stanchezza, stress...) ma Courmayeur non è solo un luogo che segna la fine di un viaggio incredibile ma è anche l’inizio di qualcosa che non riesci a fare tuo nell’immediatezza. Ti ci vuole tempo per razionalizzare le emozioni, la paura, la fatica ma capisci subito che il Tor resterà tuo per sempre! Perché il Tor des Géants è un amplificatore di tutte quelle emozioni che normalmente una gara di trail può offrire. Ѐ un endurance- trail all’ennesima potenza in un ambiente dall’incomparabile bellezza ma in molti momenti anche estremamente ostile. Non si può programmare nulla e nemmeno essere certi di nulla.
150 ore di tempo per percorrere , attraversando le due alte vie che abbracciano d’Aosta, pari più o meno a otto maratone corse una dietro l’altra, salendo e scendendo 25 colli oltre i , con punte anche di 3000- (Col Loson) e con un dislivello di . In pratica, tre scalate dell’ Everest. Tutto ciò con uno zaino sulle spalle di di materiale obbligatorio.
Con questi dati l’allenamento non può che essere importante (sono soddisfatto del mio allenatore: il Mastro): 7 mesi di duro allenamento con 8 maratone, varie gare di trail e sky race e nell’ultimo mese oltre a in 7 giorni sopra i , la del Gran Sasso in altura ed allenamenti specifici vari.
Ma è la condizione psicologica ad essere determinante per arrivare in fondo. La forza mentale conta più di ogni altra cosa ed essere in grado di affrontare i propri fantasmi e superare i propri limiti, è la vera sfida.
E così mi ritrovo sulla linea di partenza. A Courmayeur è grande festa nonostante la pioggia. Una Courmayeur ,stregata dall’evento, accoglie quasi 750 atleti provenienti da ogni parte del mondo ed un foltissimo pubblico. Sotto la pioggia, i minuti in attesa della partenza sembrano interminabili. Lo scambio di abbracci e le strette di mano tra atleti è il miglior modo per stemperare la tensione. Il mio pensiero va alle persone che mi seguono da casa, a i miei famigliari, a i miei amici, a i miei concittadini, a tutte le persone che mi sono vicine ed in particolare alle mie figlie che riescono a vedermi sul web mentre sento mia moglie al telefono qualche minuto prima della partenza e che sentirò spesso durante tutta la gara. In tutto questo turbinio di emozioni, mi piace ricordare la voce dello speaker presentare il Tor con queste parole: “Ricordate: i primi ad arrivare a Courmayeur saranno dei super atleti, ma gli atleti che arriveranno qualche giorno dopo, saranno dei super eroi!” che, a posteriori, condivido pienamente! Sì, perché correre in alta quota in sole 75 ore, è una cosa da marziani ma impiegarci 130/150 ore, quando ci si avvicina molto al limite delle possibilità umane, quando la tua mente perde la lucidità e il tuo fisico non regge più né il peso del sonno né il dolore dei piedi e delle gambe, è davvero un’impresa eroica basata sulla tenacia.
Con puntualità prende finalmente il via questa incredibile avventura. La musica epica ( una delle musiche del film “Il Gladiatore”) a tutto volume mette i brividi. Le lacrime invece sono stimolate dal muro umano assiepato ai lati delle strade per centinaia e centinaia di metri e dal frastuono dei numerosi campanacci di montagna agitati da adulti e bambini.
Da questo momento in poi entro in uno stato che fatico a descrivere: una specie di trance agonistico dove il mio
pensiero è solo uno: “devo arrivare in fondo”.
Il viaggio è costellato da una miriade di emozioni che posso solo racchiudere in tanti ricordi: la folla di gente a (19°km), ancora campanacci e urla di incitazioni, gli applausi. I fulmini e la grandine al Col Fenêtre () che mi obbligano a tornare indietro al rifugio Chalet de l’Epée () dove dei volontari (sono tutto e tutti disponibilissimi !) che mi avevano salutato un’ora e mezza prima, mi accolgono, stupiti di vedermi di nuovo, con una coperta per scaldarmi dal gelo (-7°). La gara viene sospesa per la prima volta per 3 ore interminabili. La scia luminosa delle frontali scendendo verso Rhemes Notre Dame () che procedeva a zig-zag lungo il sentiero. I tre piattoni di pasta al forno con la fontina (una bomba!) e un volontario che mi consiglia di non abusarne per la sua consistenza ma io, in quel momento, mangerei anche lui! E lì che riesco a riposare trenta minuti... che mi sembrano un eternità. L’amarezza di incontrare il mio amico Giorgio che mi annuncia il suo ritiro. La salita senza fine e assurda (40% di pendenza) verso il Col Loson (). Le due soste inutili per cercare di dormire senza riuscirci (per la troppa adrenalina!) al rifugio Sella (2585m) e al rifugio Sogno di Berdzé (2534m). L’incontro ravvicinato con un orso dopo Fenêtre di Champorcher insieme a due atleti spagnoli intenti a fare foto al paesaggio ma spaventati alla vista dell’animale. L’ennesima prova di riposare, invano, al rifugio Dondena. L’incontro con il diavolo, personaggio folkloristico, che mi spiega la storia del ponte Saint-Martin che sto per attraversare. Eric, un atleta francese di Avignon al quale non posso fare a meno di cantare “Sur le pont d’Avignon” e che mi fa compagnia dal rifugio Sassa (1305) al rifugio Coda (2224m) per tutta la salita, di notte e con una nebbia così fitta che la luce delle frontali rende quasi nulla la visibilità tanto che riesco a mala pena ad intravedere un atleta giapponese e ad afferrarlo per lo zaino per evitare che finisca in un dirupo. ( Mi riconosce sul bus del ritorno, mi abbraccia e mi ringrazia fra le lacrime.) La discesa verso il rifugio Lago Vargno dove sento gli spari dei fuochi d’artificio che, ahimè, non sono altro che una frana in corso (spaventoso!). E nemmeno là riesco a prendere sonno. La luce del giorno che non arriva mai ma finalmente un piccolo bivacco a Col della Vecchia (2184m) dove non rinuncio a delle crêpes caldissime che i volontari stanno preparando. E lì che un atleta cinese attendeva di essere trasportato in ospedale ma i soccorsi non lo potevano raggiungere per la fitta nebbia. Il sonno che oramai mi devasta. La polenta con le salsicce a Niel (1573m). La salita e la discesa massacrante del Col Lasoney (2364m) e l’arrivo alla base vita di Gressoney dove ho due ore di tempo per lavarmi, mangiare e finalmente dormire (ci riesco!). Mi aspetta il Col Pinter (2776m) ma nessuno può fermarmi: sono mentalmente e fisicamente a posto. E invece la gara viene di nuovo sospesa. Ritorno a Gressoney dove mi aspetta una lunga notte. Intorno a me tanti atleti in attesa di essere curati. Alle otto del mattino arriva il comunicato ufficiale: per motivi di sicurezza e per le condizioni atmosferiche proibitive che non accennano a migliorare, il Tor è interrotto al 223°km.
E poi, c’è il ritorno alla realtà. In effetti non è semplice ritornare alla vita quotidiana dopo tanti giorni di Tor des Géants. Sei al lavoro, parli con la gente, bevi un caffè ma inevitabilmente la tua mente vola via e torna a tutti quei ricordi e quando ti domandano :”Avresti voglia di fare uscire ogni dettaglio che è incastrato in qualche modo nella tua mente?” , rispondi:” Non si può spiegare!”. Vorresti parlare della tormenta interiore che ti sta devastando ma non ci riesci perché non si può raccontare il silenzio a di quota, l’emozionante solitudine sulle montagne di notte e il sapore del minestrone alle 4 del mattino. Mentre sei in gara perdi la concezione del tempo e dello spazio e ci vogliono giorni per rimettere insieme i pezzi del puzzle e comprendi a pieno cosa ti sia successo anche se è impossibile ricostruire un’immagine completa. Resta soltanto un gran senso di appagamento e di soddisfazione. Il Tor cambia le percezioni, annulla ogni regola e non esiste più il tempo. Il Tor ti rapisce, ti porta via il cuore e la mente e qualche unghia ai piedi ma lascia la nostalgia che tutto quello che il TdG prende e dà.
Ero preparato a tutte le difficoltà che questa gara estrema presenta ma non ero pronto a tutto il sostegno, l’affetto e il calore che tutti voi mi avete dimostrato facendomi commuovere. Un pezzo del Tor 2015 è anche vostro. Se dovessi ringraziare personalmente ognuno di voi, mi occorrerebbero pagine e pagine ancora. SIETE STRAORDINARI !
GRAZIE DI CUORE!...IL MASTROMarcello Mastrodicasa lupo della Majella del Morrone del Monte Bianco e del Tour des Geants.
Grazie dagli amici dell'A.S.D.- M.C. Manoppello Sogeda.
MARCELLO 6 UN MITO E QUESTO PICCOLO PARAGRAFO DELLA TUA VITA,,RIEMPIE UN QUADRO SPECIALE CHE SEI RIUSCITO A COSTRUIRE INTORNO A TE!
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