giovedì 23 ottobre 2014

1^ Sei Ore Beach – Pescara, 18/10/2014. Un’opera d’arte

foto 1Richiamati dal canto delle sirene pescaresi, ben 17 Supermaratoneti si son dati appuntamento, in un sabato rovente, sulla spiaggia di un cheto Adriatico. Esperienza già provata negli anni passati da Francesco Capecci nella Maratona sulla Sabbia, ma con temperature invernali, anche se il bagno in mare, a febbraio finita la corsa, l’ho sempre gustato come giusto gelido compenso liberatorio.
foto 2Massimo Faleo e Alberico Di Cecco l’hanno battezzata “Sei Ore Beach”. Michele Rizzitelli, invece, Warm Up della maratona. Di sicuro questo bell’ottobre del 2014 ci ha regalato molto “Warm”. La temperatura era attorno ai 28 gradi sulla spiaggia nel meriggio pallido e assorto. Fa caldo, ma la compagnia è fresca e frizzante. Scambia battute e urla tutte le 40 volte che si incontra nel rodeo avanti indietro sulla spiaggia. Mi accorgo che stando sulla battigia ci sono un paio di gradi in meno dovuti all’umidità portata dal rifrangersi delle onde. Così fanno pure i due vincitori, Antonio e Michele, che a differenza di me volano sulle acque togliendosi anche le scarpe (vedi filmato). Veramente un bel pomeriggio allietato anche dai tanti bagnanti autunnali che facevano il tifo.
A volte ci si domanda come trascorrere il tempo in spiaggia. Basta con le chiacchiere da ombrellone, i libri da sdraio, le parole crociate e i giri in pedalò. Come son nati la Beach Volley, il Beach Soccer, il Beach Fitness, ecco che il vulcanico Faleo crea dal nulla la Beach Marathon. Basta sottrarre al demanio statale per una mezza giornata un chilometro dei 7458 km di coste italiane. Uno scenario infinito in cui correre rubando il copyright al buon Ciccio Capecci.
Quante volte, da bambini, abbiamo provato la soddisfazione di ultimare un castello di sabbia sulla riva del mare e subito dopo arrivava la sera. Le onde salivano e la delusione di vederlo crollare sulle sue stesse fondamenta, rosicchiato da un’onda più lunga del solito. Ma non importava, si ricominciava da capo, in fondo quella delusione era il rischio da correre per potersi illudere di nuovo. Questo è quello che ci muove la voglia e l’illusione di provare un nuovo tracciato, costruire un nuovo castello con 42 torri…
foto 3Queste piccole maratone sono dei capolavori d’improvvisazione. Per lo scenario e l’ambiente, potranno per anni vantare la funzione eternatrice dell’arte. Massimo ci telefona e ci prende in contropiede col carattere passeggero delle sue creature. Gode a spiegare come ha avuto il colpo di genio. Ce le mostra come uno strumento di immortalità. Un’opera d’arte. Un battito d’ali lungo sei ore. Una creazione corruttibile, fragile, precaria, votata ai capricci della natura e alla volontà dei podisti. Una leggera follia si vede in lui: perché investire tempo ed energie per una creazione provvisoria, ergo inutile?
Lo si capisce solo correndo sulla spiaggia per chilometri e chilometri, salutando gli amici ad ogni giro. Le tracce che lasciamo dietro sulla sabbia sono anche le sue. Poi viene la sera, il paesaggio cambia. La marea attenua il rumore del mare. I colori sfumano nel tramonto e i passi soffusi affondano nella sabbia entrando in sintonia con il posto. I maratoneti non si possono fermare mai a pensare e a guardare. I maratoneti regalano al mare una lunga dedica con le loro impronte. Per sei ore personificano il terreno, lo plasmano, lo solcano e rivoltano. Hanno la parola prima che possa tornare di nuovo vergine. Poi il mare di notte cancellerà tutto. Tutti i passi saranno dimenticati. È una continua sinergia tra uomo e natura: alla fine del processo, certo, la natura ristabilirà le gerarchie, ma il maratoneta le avrà recapitato il suo messaggio. Avrà usato la spiaggia come una enorme tela vuota, i passi saranno i pennelli, i movimenti delle onde la colonna sonora.

Nessun commento:

Posta un commento