giovedì 23 ottobre 2014

14^ Maratona di Pescara – 19/10/2014. Nostalgie dannunziane…

foto 1Un cane abbaia.
Il mondo intero dorme.
Le prime luci dell’alba colorano l’orizzonte.
foto 2La pensione Marisa ha ospitato un piccolo gruppo di collegiali festanti in gita a Pescara. Le gambe iniziano a muoversi sotto le lenzuola, lentamente, mentre la spiaggia di ieri scorre sotto i miei passi ancora addormentati. Ogni muscolo inizia a svegliarsi e a contrarsi per favorire quell’andatura che comincia ad accelerare. Apro gli occhi. Questa corsa è un momento solitario, un sogno bellissimo che finisce all’alba. Dal cuscino morbido lancio uno sguardo intorpidito. I compagni di cento viaggi, Piero Ancora e Pino Tundo, sono ancora concentrati nello sforzo della velocità orizzontale, accelerano il loro respiro dal fondo di un materasso. Una domenica a Pescara. Fuori albeggia, il cane abbaia. Non son mai stato qui, eppure mi sembra tutto familiare. Mi rendo conto che questa vita da commesso viaggiatore della maratona è davvero molto piacevole. Nuove strade, nuove spiagge, ponti, sguardi, ogni giorno. Ecco è l’alba dalle dita dorate pronta a inondarmi di benessere.Ti ascolti nel silenzio. E nell’ascoltarti, ti scopri diverso, pieno di energia, in sintonia con il mondo e pronto a mordere una nuova strada.
foto 3Ma l’estasi finisce. Qualcosa, qualcuno bussa alla porta. Apro. E’ Mariolino, elegantissimo, vestito di tutto punto che sembra tornato da una notte felice. “Oggi non corro!”, dice. “Ho male qui. Ho male là”. Una leggera invidia mi attraversa. Da un lato penso alla sua ipotetica notte felice. Dall’altro lo invidio proprio per come si ponga libero davanti a una scelta a volta obbligata: mettere la tacca a tutti i costi, senza ascoltare il proprio corpo. Ripenso in contraddittorio a quanto mi disse un giorno con calvinistico cipiglio Michele Rizzitelli: “Un Supermaratoneta non teme sole, pioggia, tempesta, neve, e male alcuno” In mezzo c’è la stessa determinazione, con sfumature diverse. Sono una metafora efficace di come possa essere la nostra esistenza e di come si possano raggiungere tutti gli obiettivi che ci prefissiamo, non solo quei 42,195 km della maratona. Impegno, costanza e disciplina ma con una sensibilità diversa.
Così comincia la mattina della 14esima Maratona di Pescara e la prima per me pivellino. Sempre magico provare nuove strade. Avevo letto il bell’articolo di Alberico Di Cecco in cui raccontava l’afflato di passione trasmesso da Renato D’Amario e me ne ero un po’ invaghito per il clima di partecipazione e la storia che c’è dietro. Mi piaceva il fatto del tutto particolare del doppio apostrofo: D’Amario-D’Annunzio. Di Cecco non può permettersi l’apostrofo, diventerebbe D’Cecco forse un giorno chissà…Tre apostrofi rosa, tre baci ai maratoneti…
foto 4La mattina comincia alla grande con la premiazione della 6 Ore Beach del giorno precedente, dove veniamo fatti salire sul palco come degli eroi. Mentre salgo, rivedo Mariolino che, dismesso l’abito elegante, salpa la prua in braghette e canotta verso la partenza. “Proviamo!”,mi dice. Poi sparisce a cercare il chip che si era ben mimetizzato nella busta che aveva buttato. Finirà, con infinita gioia, poco davanti a me, sperso nel traffico riaperto troppo presto. Dopo metà gara una buia nube attraversa il cielo della gara per la morte a pochi metri dell’arrivo di uno dei protagonisti del podismo locale, Duilio Fornarola di Atessa, ottantaduenne ma ancora in notevole attività. http://www.rete8.it/it/194/17640-video-lutto-sulla-maratona-d-annunziana.html
Il percorso è bellissimo ma diventa lunghissimo per il fatto di dover rifare tre volte il lungomare verso Montesilvano. Forse sarebbe stato meglio rifare tre volte il bel “ponte del mare”, l’ardito pedonale strallato più grande d’Italia. Uguale a quello che abbiamo noi a Cinisello Balsamo. Peccato che noi sotto abbiamo una puzzolente tangenziale e non il bel mare di Pescara. I dati sono che con i suoi 466 m di lunghezza tra le spalle ed i 172 m di luce dell'impalcato sospeso è il ponte pedonale più grande d’Italia. L’architetto è altoatesino, si chiama Walter Pichler. Costò 7 milioni di euro nel 2009. Attenti, perché Massimo Faleo è stato subito illuminato durante la sua ascensione: pendenza 7,8%. “Facciamo una 8 Ore del Ponte del Mare, che ne dici?”. “Massimo sarà come volare su mare!”, gli ho risposto.
foto 5Per il resto, Pescara mi avvolge di nostalgia per i luoghi dannunziani. Che piaccia o no, dai dati di Google e dalle traduzioni, è il poeta italiano più letto. C’è chi lo chiama Vate e chi Water. Fa discutere anche i suoi concittadini. Questo si legge sui giornali locali: “Gabriele D’Annunzio resta uno tra i più grandi, complessi, seducenti intellettuali che l’Italia abbia regalato al mondo, durante il Secolo breve: una vita da eroe immaginifico, da condottiero visionario nell’impresa di Fiume, da intrepido utopista e combattente; stimato dal Duce anche nei momenti di maggior conflitto, figlio e insieme padre di un nuovo estetismo carico di retorica smagliante, appassionato cultore dello spirito e dei sensi. Un uomo fuori dal comune, tra i poeti italiani più amati. Per Google, addirittura, il più cliccato dopo Dante. E il neo sindaco che fa? Si attiva subito per rottamarlo, tutto preso dalla frenesia dello svecchiamento. E la cosa più “vecchia” che gli capita a tiro, da sradicare senza indugi, è proprio lui: il sommo poeta. Ormai tramutatosi – a detta anche del neo assessore Giovanni Di Iacovo – in un brand, un feticcio polveroso. Scomodo per giunta”.
Difficile dare un giudizio sul Vate. Un poeta sublime che già amava il jazz, le filosofie e le religioni orientali; una visita al Vittoriale e una sola lettura della "Pioggia nel pineto" basterebbero a convincere i detrattori. Io preferisco prenderlo a brevi sorsi. Bevendo solo il meglio. Forse la storia lo farà decantare come un buon brandy. Mi piace però immergermi in quei momenti e così correndo mi vengono in mente i ricordi pescaresi di Michele Cascella per una vecchia Pescara, ormai scomparsa. “Quando ripenso alla casa di D’Annunzio come era una volta,rivedo ancora i suoi tre negozi: la farmacia Luise (il dottore Michele aveva sposato la sorella di Gabriele D’Annunzio, Elvira), c’era poi un tabaccaio, dove si vendevano anche cartoline della casa di D’Annunzio. L’altro negozio me lo ricordo occupato da una fruttivendola, donna molto simpatica e vivace, di lingua pronta e arguta, deturpata dal vaiolo (da qui il nome che aveva di Scarrupata; mentre foto 6Scarrupato, suo fratello, era il sempre allegro facchino dello scalo merci, alla stazione). Sul balcone estremo di destra, guardando la facciata, ho visto talvolta seduta, nei tardi pomeriggi, la madre del poeta: io ero bambino, mia madre me la indicava, Donna Luisa. Una vecchia dal volto nobile, bianca ed infelice, dicevano, per la lontananza del figlio. Guardava la piazza a quell’ora piena di ragazzi, che si rincorrevano e, sotto ogni tiglio, una venditrice di latte, col suo bidone e il suo misurino. Venivano ogni sera dalle campagne vicine. Donna Luisa coltivava sui balconi dei minuscoli giardini di rose e di garofani. Tutta Pescara conosceva i garofani garibaldini di Donna Luisa. Nei pomeriggi di primavera e d’estate, dalla mia finestra, la vedevo affacciarsi verso il crepuscolo ed innaffiare i suoi fiori da una giara di vetro, con estrema cura. La incontravo sempre la domenica a messa in S. Cetteo, dove accompagnavo mia madre. Vi si recava con una delle figlie, sempre vestita di scuro con un velo sui capelli. Rassomigliava straordinariamente al figlio Gabriele, lo stesso profilo,la stessa nobiltà dei lineamenti. Quei garofani appesi ai balconcini, le persiane, le mura color ruggine di Casa D’Annunzio mi mettevano addosso una frenesia che mi faceva spremere tubetti di ocre e gialli sulfurei. I mandorli cominciavano a fiorire e l’aria di mare spandeva le prime gemme come fiocchi di neve. Sentivo la primavera sulla punta delle dita: pastelli, acquerelli, tempere, olio, qualsiasi mezzo era buono per cogliere una luce e una sfumatura. La Pescara era come un arcobaleno, variava ad ogni momento; bastava una nuvola per far cangiare tono al mandorlo. Bastava un rufolo di vento e il mare si increspava, e le vele se ne andavano a coppie d’oro con una stella cometa in cima. Le pagine di D’Annunzio erano dei meravigliosi dipinti, una galleria di ritratti e luoghi pescaresi. C’erano le case e nelle case i personaggi, gli stessi che vedevo ed ascoltavo per via; la marina descritta da Gabriele era la mia stessa marina: vele, cordami, cubie, pescatori scalzi, fumate di contrabbando, carico e scarico di mercanzia, donne coi fisciù rossi che attendevano sul molo il ritorno dei capitani, ceste colme di pesci, reti stese al sole. Nei libri di Gabriele c’erano santi miracolosi, c’erano maghi, cerusici e il diavolo dipinto come uno sciancato con gli occhi di brace. C’erano tutte le botteghe colle insegne colorate, il sellaio, il vinaio, il ciabattino e la farmacia con la palla gialla; c’erano tutti gli storpi del Venerdì Santo e la storia delle stagioni con la fioritura e la mietitura. Sentivo gli odori della vendemmia, il mosto a settembre, il miele a dicembre. Bastava solo mettere mano ai pennelli, bastava andare in giro da una piazza a un orto, scegliere un luogo qualsiasi, la pineta o il fiume, la torre o la via del Rosario. La mia vita si svolgeva in questo magico scenario di cose e di personaggi, da terra promessa, personaggi e manifestazioni comuni a tuttii piccoli centri, come mercato e la sua piazza, come la storia e il dialetto che ogni paese ha suoi propri; ma la storia, il mercato, il linguaggio, il calore, il sapore e suoni di Pescara vivono particolati, insostituibili in me, perchè sono stati lo sfondo della mia infanzia, della mia educazione e formazione, e restano qual particolare unico mondo da me vissuto, scoperto, posseduto, mai ritrovato altrove”.
Clicca qui per le foto (di Paolo Gino)
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