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- Categoria: Ultramaratone
- Pubblicato Giovedì, 23 Ottobre 2014 00:00
- Scritto da Paolo Gino
- http://www.clubsupermarathon.it/ultramaratone/1812-1-sei-ore-beach-pescara-18-10-2014-un-opera-d-arte.html
Richiamati
dal canto delle sirene pescaresi, ben 17 Supermaratoneti si son dati
appuntamento, in un sabato rovente, sulla spiaggia di un cheto
Adriatico. Esperienza già provata negli anni passati da Francesco
Capecci nella Maratona sulla Sabbia, ma con temperature invernali, anche
se il bagno in mare, a febbraio finita la corsa, l’ho sempre gustato
come giusto gelido compenso liberatorio.
Massimo
Faleo e Alberico Di Cecco l’hanno battezzata “Sei Ore Beach”. Michele
Rizzitelli, invece, Warm Up della maratona. Di sicuro questo
bell’ottobre del 2014 ci ha regalato molto “Warm”. La temperatura era
attorno ai 28 gradi sulla spiaggia nel meriggio pallido e assorto. Fa
caldo, ma la compagnia è fresca e frizzante. Scambia battute e urla
tutte le 40 volte che si incontra nel rodeo avanti indietro sulla
spiaggia. Mi accorgo che stando sulla battigia ci sono un paio di gradi
in meno dovuti all’umidità portata dal rifrangersi delle onde. Così
fanno pure i due vincitori, Antonio e Michele, che a differenza di me
volano sulle acque togliendosi anche le scarpe (vedi filmato). Veramente
un bel pomeriggio allietato anche dai tanti bagnanti autunnali che
facevano il tifo.
A volte ci si domanda come trascorrere
il tempo in spiaggia. Basta con le chiacchiere da ombrellone, i libri da
sdraio, le parole crociate e i giri in pedalò. Come son nati la Beach
Volley, il Beach Soccer, il Beach Fitness, ecco che il vulcanico Faleo
crea dal nulla la Beach Marathon. Basta sottrarre al demanio statale per
una mezza giornata un chilometro dei 7458 km di coste italiane. Uno
scenario infinito in cui correre rubando il copyright al buon Ciccio
Capecci.
Quante volte, da bambini, abbiamo
provato la soddisfazione di ultimare un castello di sabbia sulla riva
del mare e subito dopo arrivava la sera. Le onde salivano e la delusione
di vederlo crollare sulle sue stesse fondamenta, rosicchiato da un’onda
più lunga del solito. Ma non importava, si ricominciava da capo, in
fondo quella delusione era il rischio da correre per potersi illudere di
nuovo. Questo è quello che ci muove la voglia e l’illusione di provare
un nuovo tracciato, costruire un nuovo castello con 42 torri…
Queste
piccole maratone sono dei capolavori d’improvvisazione. Per lo scenario
e l’ambiente, potranno per anni vantare la funzione eternatrice
dell’arte. Massimo ci telefona e ci prende in contropiede col carattere
passeggero delle sue creature. Gode a spiegare come ha avuto il colpo di
genio. Ce le mostra come uno strumento di immortalità. Un’opera d’arte.
Un battito d’ali lungo sei ore. Una creazione corruttibile, fragile,
precaria, votata ai capricci della natura e alla volontà dei podisti.
Una leggera follia si vede in lui: perché investire tempo ed energie per
una creazione provvisoria, ergo inutile?
Lo si capisce solo correndo sulla
spiaggia per chilometri e chilometri, salutando gli amici ad ogni giro.
Le tracce che lasciamo dietro sulla sabbia sono anche le sue. Poi viene
la sera, il paesaggio cambia. La marea attenua il rumore del mare. I
colori sfumano nel tramonto e i passi soffusi affondano nella sabbia
entrando in sintonia con il posto. I maratoneti non si possono fermare
mai a pensare e a guardare. I maratoneti regalano al mare una lunga
dedica con le loro impronte. Per sei ore personificano il terreno, lo
plasmano, lo solcano e rivoltano. Hanno la parola prima che possa
tornare di nuovo vergine. Poi il mare di notte cancellerà tutto. Tutti i
passi saranno dimenticati. È una continua sinergia tra uomo e natura:
alla fine del processo, certo, la natura ristabilirà le gerarchie, ma il
maratoneta le avrà recapitato il suo messaggio. Avrà usato la spiaggia
come una enorme tela vuota, i passi saranno i pennelli, i movimenti
delle onde la colonna sonora.
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