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- Categoria: Maratone
- Pubblicato Giovedì, 23 Ottobre 2014 00:00
- Scritto da Paolo Gino
- http://www.clubsupermarathon.it/maratone/1813-14-maratona-di-pescara-19-10-2014-nostalgie-dannunziane.html
Un cane abbaia.
Il mondo intero dorme.
Le prime luci dell’alba colorano l’orizzonte.
La
pensione Marisa ha ospitato un piccolo gruppo di collegiali festanti in
gita a Pescara. Le gambe iniziano a muoversi sotto le lenzuola,
lentamente, mentre la spiaggia di ieri scorre sotto i miei passi ancora
addormentati. Ogni muscolo inizia a svegliarsi e a contrarsi per
favorire quell’andatura che comincia ad accelerare. Apro gli occhi.
Questa corsa è un momento solitario, un sogno bellissimo che finisce
all’alba. Dal cuscino morbido lancio uno sguardo intorpidito. I compagni
di cento viaggi, Piero Ancora e Pino Tundo, sono ancora concentrati
nello sforzo della velocità orizzontale, accelerano il loro respiro dal
fondo di un materasso. Una domenica a Pescara. Fuori albeggia, il cane
abbaia. Non son mai stato qui, eppure mi sembra tutto familiare. Mi
rendo conto che questa vita da commesso viaggiatore della maratona è
davvero molto piacevole. Nuove strade, nuove spiagge, ponti, sguardi,
ogni giorno. Ecco è l’alba dalle dita dorate pronta a inondarmi di
benessere.Ti ascolti nel silenzio. E nell’ascoltarti, ti scopri diverso,
pieno di energia, in sintonia con il mondo e pronto a mordere una nuova
strada.
Ma
l’estasi finisce. Qualcosa, qualcuno bussa alla porta. Apro. E’
Mariolino, elegantissimo, vestito di tutto punto che sembra tornato da
una notte felice. “Oggi non corro!”, dice. “Ho male qui. Ho male là”.
Una leggera invidia mi attraversa. Da un lato penso alla sua ipotetica
notte felice. Dall’altro lo invidio proprio per come si ponga libero
davanti a una scelta a volta obbligata: mettere la tacca a tutti i
costi, senza ascoltare il proprio corpo. Ripenso in contraddittorio a
quanto mi disse un giorno con calvinistico cipiglio Michele Rizzitelli:
“Un Supermaratoneta non teme sole, pioggia, tempesta, neve, e male
alcuno” In mezzo c’è la stessa determinazione, con sfumature diverse.
Sono una metafora efficace di come possa essere la nostra esistenza e di
come si possano raggiungere tutti gli obiettivi che ci prefissiamo, non
solo quei 42,195 km della maratona. Impegno, costanza e disciplina ma
con una sensibilità diversa.
Così comincia la mattina della 14esima
Maratona di Pescara e la prima per me pivellino. Sempre magico provare
nuove strade. Avevo letto il bell’articolo di Alberico Di Cecco in cui
raccontava l’afflato di passione trasmesso da Renato D’Amario e me ne
ero un po’ invaghito per il clima di partecipazione e la storia che c’è
dietro. Mi piaceva il fatto del tutto particolare del doppio apostrofo:
D’Amario-D’Annunzio. Di Cecco non può permettersi l’apostrofo,
diventerebbe D’Cecco forse un giorno chissà…Tre apostrofi rosa, tre baci
ai maratoneti…
La
mattina comincia alla grande con la premiazione della 6 Ore Beach del
giorno precedente, dove veniamo fatti salire sul palco come degli eroi.
Mentre salgo, rivedo Mariolino che, dismesso l’abito elegante, salpa la
prua in braghette e canotta verso la partenza. “Proviamo!”,mi dice. Poi
sparisce a cercare il chip che si era ben mimetizzato nella busta che
aveva buttato. Finirà, con infinita gioia, poco davanti a me, sperso nel
traffico riaperto troppo presto. Dopo metà gara una buia nube
attraversa il cielo della gara per la morte a pochi metri dell’arrivo di
uno dei protagonisti del podismo locale, Duilio Fornarola di Atessa,
ottantaduenne ma ancora in notevole attività. http://www.rete8.it/it/194/17640-video-lutto-sulla-maratona-d-annunziana.html
Il percorso è bellissimo ma diventa
lunghissimo per il fatto di dover rifare tre volte il lungomare verso
Montesilvano. Forse sarebbe stato meglio rifare tre volte il bel “ponte
del mare”, l’ardito pedonale strallato più grande d’Italia. Uguale a
quello che abbiamo noi a Cinisello Balsamo. Peccato che noi sotto
abbiamo una puzzolente tangenziale e non il bel mare di Pescara. I dati
sono che con i suoi 466 m di lunghezza tra le spalle ed i 172 m di luce
dell'impalcato sospeso è il ponte pedonale più grande d’Italia.
L’architetto è altoatesino, si chiama Walter Pichler. Costò 7 milioni di
euro nel 2009. Attenti, perché Massimo Faleo è stato subito illuminato
durante la sua ascensione: pendenza 7,8%. “Facciamo una 8 Ore del Ponte
del Mare, che ne dici?”. “Massimo sarà come volare su mare!”, gli ho
risposto.
Per
il resto, Pescara mi avvolge di nostalgia per i luoghi dannunziani. Che
piaccia o no, dai dati di Google e dalle traduzioni, è il poeta
italiano più letto. C’è chi lo chiama Vate e chi Water. Fa discutere
anche i suoi concittadini. Questo si legge sui giornali locali:
“Gabriele D’Annunzio resta uno tra i più grandi, complessi, seducenti
intellettuali che l’Italia abbia regalato al mondo, durante il Secolo
breve: una vita da eroe immaginifico, da condottiero visionario
nell’impresa di Fiume, da intrepido utopista e combattente; stimato dal
Duce anche nei momenti di maggior conflitto, figlio e insieme padre di
un nuovo estetismo carico di retorica smagliante, appassionato cultore
dello spirito e dei sensi. Un uomo fuori dal comune, tra i poeti
italiani più amati. Per Google, addirittura, il più cliccato dopo Dante.
E il neo sindaco che fa? Si attiva subito per rottamarlo, tutto preso
dalla frenesia dello svecchiamento. E la cosa più “vecchia” che gli
capita a tiro, da sradicare senza indugi, è proprio lui: il sommo poeta.
Ormai tramutatosi – a detta anche del neo assessore Giovanni Di Iacovo –
in un brand, un feticcio polveroso. Scomodo per giunta”.
Difficile dare un giudizio sul Vate. Un
poeta sublime che già amava il jazz, le filosofie e le religioni
orientali; una visita al Vittoriale e una sola lettura della "Pioggia
nel pineto" basterebbero a convincere i detrattori. Io preferisco
prenderlo a brevi sorsi. Bevendo solo il meglio. Forse la storia lo farà
decantare come un buon brandy. Mi piace però immergermi in quei momenti
e così correndo mi vengono in mente i ricordi pescaresi di Michele
Cascella per una vecchia Pescara, ormai scomparsa. “Quando ripenso alla
casa di D’Annunzio come era una volta,rivedo ancora i suoi tre negozi:
la farmacia Luise (il dottore Michele aveva sposato la sorella di
Gabriele D’Annunzio, Elvira), c’era poi un tabaccaio, dove si vendevano
anche cartoline della casa di D’Annunzio. L’altro negozio me lo ricordo
occupato da una fruttivendola, donna molto simpatica e vivace, di lingua
pronta e arguta, deturpata dal vaiolo (da qui il nome che aveva di
Scarrupata; mentre Scarrupato,
suo fratello, era il sempre allegro facchino dello scalo merci, alla
stazione). Sul balcone estremo di destra, guardando la facciata, ho
visto talvolta seduta, nei tardi pomeriggi, la madre del poeta: io ero
bambino, mia madre me la indicava, Donna Luisa. Una vecchia dal volto
nobile, bianca ed infelice, dicevano, per la lontananza del figlio.
Guardava la piazza a quell’ora piena di ragazzi, che si rincorrevano e,
sotto ogni tiglio, una venditrice di latte, col suo bidone e il suo
misurino. Venivano ogni sera dalle campagne vicine. Donna Luisa
coltivava sui balconi dei minuscoli giardini di rose e di garofani.
Tutta Pescara conosceva i garofani garibaldini di Donna Luisa. Nei
pomeriggi di primavera e d’estate, dalla mia finestra, la vedevo
affacciarsi verso il crepuscolo ed innaffiare i suoi fiori da una giara
di vetro, con estrema cura. La incontravo sempre la domenica a messa in
S. Cetteo, dove accompagnavo mia madre. Vi si recava con una delle
figlie, sempre vestita di scuro con un velo sui capelli. Rassomigliava
straordinariamente al figlio Gabriele, lo stesso profilo,la stessa
nobiltà dei lineamenti. Quei garofani appesi ai balconcini, le persiane,
le mura color ruggine di Casa D’Annunzio mi mettevano addosso una
frenesia che mi faceva spremere tubetti di ocre e gialli sulfurei. I
mandorli cominciavano a fiorire e l’aria di mare spandeva le prime gemme
come fiocchi di neve. Sentivo la primavera sulla punta delle dita:
pastelli, acquerelli, tempere, olio, qualsiasi mezzo era buono per
cogliere una luce e una sfumatura. La Pescara era come un arcobaleno,
variava ad ogni momento; bastava una nuvola per far cangiare tono al
mandorlo. Bastava un rufolo di vento e il mare si increspava, e le vele
se ne andavano a coppie d’oro con una stella cometa in cima. Le pagine
di D’Annunzio erano dei meravigliosi dipinti, una galleria di ritratti e
luoghi pescaresi. C’erano le case e nelle case i personaggi, gli stessi
che vedevo ed ascoltavo per via; la marina descritta da Gabriele era la
mia stessa marina: vele, cordami, cubie, pescatori scalzi, fumate di
contrabbando, carico e scarico di mercanzia, donne coi fisciù rossi che
attendevano sul molo il ritorno dei capitani, ceste colme di pesci, reti
stese al sole. Nei libri di Gabriele c’erano santi miracolosi, c’erano
maghi, cerusici e il diavolo dipinto come uno sciancato con gli occhi di
brace. C’erano tutte le botteghe colle insegne colorate, il sellaio, il
vinaio, il ciabattino e la farmacia con la palla gialla; c’erano tutti
gli storpi del Venerdì Santo e la storia delle stagioni con la fioritura
e la mietitura. Sentivo gli odori della vendemmia, il mosto a
settembre, il miele a dicembre. Bastava solo mettere mano ai pennelli,
bastava andare in giro da una piazza a un orto, scegliere un luogo
qualsiasi, la pineta o il fiume, la torre o la via del Rosario. La mia
vita si svolgeva in questo magico scenario di cose e di personaggi, da
terra promessa, personaggi e manifestazioni comuni a tuttii piccoli
centri, come mercato e la sua piazza, come la storia e il dialetto che
ogni paese ha suoi propri; ma la storia, il mercato, il linguaggio, il
calore, il sapore e suoni di Pescara vivono particolati, insostituibili
in me, perchè sono stati lo sfondo della mia infanzia, della mia
educazione e formazione, e restano qual particolare unico mondo da me
vissuto, scoperto, posseduto, mai ritrovato altrove”.
Clicca qui per le foto (di Paolo Gino)
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